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Cari lettori,
“Ho scelto di non scegliere la vita, le
ragioni? Non ci sono ragioni. Chi ha bisogno di ragioni quando ha l’eroina?”.
Il
prologo/monologo del protagonista di questo film del 1996 diretto da Danny Boyle
(regista anche di The Millionaire, 2008) e tratto dall’omonimo romanzo di Irvine Welsh appare il manifesto perfetto per denunciare una
società che non comprende l’individuo ma lo traina in una catena di montaggio a
ingranaggi fissi verso una fine standardizzata e inevitabile.
Ma la domanda che
lo spettatore deve farsi è: “è davvero questa la via giusta?”. Ovviamente no e,
guardando la pellicola, lo si capisce chiaramente. Non è solo questo messaggio
che conta però; “Trainspotting”,
letteralmente “guardare i treni passare”
è la metafora della scelta non solo dei protagonisti del film ma anche di tutte
quelle persone che, passivamente appunto, non scelgono la vita facendosi
tritare dall’ingranaggio della società.
Il messaggio del
film è ampio, la sua portata va aldilà di un generico senso di ribellione o di
un sentimento di disprezzo verso la droga e le sue conseguenze, tocca tutti
indistintamente, tocca presente e futuro e invita con forza al cambiamento
dell’ottica di vedere la vita. “Tutto
sta cambiando”, dice in una scena Diane
a Rent, il protagonista (interpretato da Ewan
McGregor) ma ciò che non cambia è che la catena di montaggio è sempre
programmata per intrappolarci nel suo ingranaggio anche se ascoltiamo musica
diversa, ci vestiamo diversamente o ci droghiamo diversamente.
Come molti altri
film dello stesso stampo (basta pensare a “Fight
Club” di David Fincher del 1999 o a “Into the Wild” di Sean Penn
del 2007, entrambi però posteriori),
“Trainspotting “ è un film che si
tramanda di generazione in generazione, che descrive una situazione ai ragazzi
e che insegna, se questi sono capaci di capire e abbastanza maturi da accettare.
Non è un inno
alla droga o al fancazzismo; al contrario è un ritratto di un problema enorme
che colpisce tutti indistintamente in tutto il mondo moderno e “civilizzato”
(l’ingranaggio societario che svilisce la persona e la personalità) e che nel
film trova sfogo nella strada sudicia e con rare vie d’uscita della droga.
Da apprezzare è
che è proprio dal punto di vista del
protagonista Rent, giovane ragazzo di Edimburgo, che la storia viene narrata; lo spettatore
inevitabilmente si immedesima con lui all’inizio, pompato dal suo discorso
anticonformista ma poi, man mano che il film prende corpo, viene svilito e
sfiancato dalle esperienze terribili vissute dai personaggi fino alla svolta
del finale e all’uscita dal tunnel verso la così definita “scelta della vita” di Rent. Lo stesso spettatore è drogato durante
la vista del film, attraversa tutte le fasi: la motivazione scatenante, il
momento idilliaco (l’estraniamento dalla società, “è come morire e ritrovarsi
in un limbo provvisorio”), la “rota” e il cambio finale.
Questa è una
pellicola di cui si potrebbe parlare per ore e da mille punti di vista diversi;
io spero di aver stilato una recensione interessante, di aver dato uno spunto
d’ispirazione per successive riflessioni.
Di certo è un
film che non si dimenticherà, ringraziamo quindi il regista e l’autore del
romanzo e anche lo sceneggiatore (John Hodge) che si è meritato una nomination all’Oscar come Miglior sceneggiatura non originale nel
1997.
Per chi pensa
che alla fine il protagonista sia quasi sconfitto, vi dico una cosa: lui sceglie “la Vita”, non per forza la
Società.
4 stelle per questo film!
Spero la mia
recensione vi sia piaciuta, al prossimo post, con affetto,
Cris
Fonti: Wikipedia
Dear readers,
“I chose not to
choose life: I chose something else. And the reasons? There are no reasons. Who
need reasons when you've got heroin?”
The prologue/monologue of the protagonist of this 1996 movie, directed by Danny Boyle (who also directed The Millionaire, in 2008) and taken from the homonymous novel by Irvine Welsh looks like the perfect
motto to denounce a kind of society which doesn’t understand people but tow
them in an assembly line all the way to a standardize and inevitable ending. But
the question the viewer must ask himself is: “Is this the right way?”. Of
course not, and by watching the movie you clearly understand it. But this is
not the only important thing to know: “Trainspotting”,
which litterally means “watching the
trains passing”, is the metaphor chosen by not only the movie’s
protagonists but also all those other people who passively choose not to live
their life but to be chopped by the society.
The movie’s message is huge, is something bigger than
rebellion or hating drugs and its consequences. It affects everybody, present
and future, and invites us to change the way we see life. “Everything is changing”, says Diane
to Rent, the protagonist (played by Ewan
McGregor) in a scene; but what doesn’t change is that the assembly line
always wants us to be trapped, even if we listen to a different kind of music,
we dress in a different way or we take different drugs.
Like many other movies from the same years (think
about “Fight Club” by David Fincher from 1999, or “Into the Wild”
by Sean Penn from 2007), “Trainspotting “ is a movie that people pass from a generation to
another one, because it’s about a certain situation and teaches to young boys
and girls something – but only if they know how to understand it and get it.
It’s not an hymn to do drugs or do nothing at all.
It’s a portrait of a huge problem which affects everybody in the modern and
“civilized” world (the gear that demeans people and their personalities), and
which in the movie ends with suicides and seldom people who get off drugs.
I like that the story is told exactly from the point of view of the protagonist,
Rent, a young boy from Edimburgh.
The viewer totally identifies himself with him right at the beginning, thanks
to his nonconformist speech; then, during the movie, he gets debased and
exhausted by the terrible experiences of all the protagonists. At the end, the final turning point and
the way out of the tunnel, all the way to Rent’s “life choice”. The same viewer is doped during the movie, and he get
through all the fases: the trigger motivation, the idilli moment (being cut off
from the society, “it’s like dying and finding yourself in a temporary limbo”),
the turning point and the final one.
I could go on talking about this movie for hours, from
so many different points of view; I hope my review is interesting, and can give
you some kind of inspiration. Of course, it’s a movie that’s not gonna be
forgotten. So I want to thank the director and author of the novel, the screenwriter (John Hodge) who was nominated for an Oscar
for Best Adapted Screenplay in 1997.
For those of you who think that the protagonist is
almost defeated at the end, I wanna tell you something: he chooses “Life” not “Society”.
4 stars for this movie!
I hope you liked my review, see you in the next one. Love,
Cris
Sources: Wikipedia
Traduzione a cura di: Giulia Macciò
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