domenica 31 gennaio 2016

The Hateful Eight

Locandina - Image from Google Images



Cari lettori,

Tarantino torna sul grande schermo, come sempre gli capita dopo una grande successo commerciale e di critica (“Django Unchained”, 2012), prendendo in contropiede lo spettatore che crede già di sapere tutto e, invece, non sa un bel niente; ed è in questi film (“Jackie Brown”, 1997 e “Grindhouse – A prova di morte”, 2007) che il regista, come sempre, dà il meglio di sé.

Wyoming, post guerra di secessione americana: su uno sfondo candido una diligenza procede spedita verso la cittadina Red Rock; al suo interno troviamo il cacciatore di taglie John Ruth (un davvero bravo Kurt Russel) e la sua prigioniera Daisy Domergue (una fantastica Jennifer Jason Leigh, come si può dimenticarla ne “L’ultima eclissi”?, ci pensa comunque il personaggio di Kurt Russel a farcelo ricordare a circa metà del film), in attesa di essere giustiziata. Una bufera di neve inaspettata coinvolgerà sul cammino della coppia diversi personaggi, a partire dal cacciatore di taglie nero Maggiore Warren (un pregnante Samuel L. Jackson) e il futuro sceriffo di Red Rock, nonché ex rinnegato sudista, Chris Mannix (uno splendido Walton Goggins).

Costretti dalla natura avversa, i cinque personaggi, compreso il cocchiere O.B. Jackson (James Parks) sostano all’emporio di Minnie (Dana Gourrier, ve la ricordate in “Django Unchained”?), in attesa che la neve si sciolga e ognuno possa perseguire il proprio intento. Ma, alla bottega di Minnie, non c’è Minnie e suo marito Sweet Dave ad accogliere i passeggeri della diligenza, bensì quattro viaggianti inaspettati (il boia Oswaldo Mobray interpretato da un mitico “Mister Orange”, Tim Roth, il mandriano Joe Gage, un sempre fedele Michael Madsen, il Generale Sanford Smithers, un dannatamente unico Bruce Dern e il messicano Bob interpretato da Demián Bichir, incaricato di badare all’emporio ne giorni in cui Minnie è in visita dalla madre). In pratica: una bufera di neve, nove personaggi tra loro quasi sconosciuti, una taglia da diecimila dollari sulla testa di Daisy, un luogo chiuso e un clima degno di una grande giallo.

Eh sì, cari lettori, un giallo perché l’insuperabile Tarantino non ci presenta un western, o meglio, ci presenta un mistero alla Agatha Christie (dopo pochi minuti non si può non pensare al romanzo dell’autrice “Dieci piccoli indiani”) su uno scenario western, il tutto orchestrato da una Sinfonia in quattro tempi del Maestro Morricone che coinvolge il cuore e intrepida la mente e diretto con maestria da un regista che non si smentisce ma che lascia lo spettatore in attesa per un bel po’ di tempo.

“The Hateful Eight” è un opera teatrale divisa in atti (capitoli) e Tarantino pensa il film in pellicola 70mm. (con la fotografia candidata all’Oscar di Robert Richardson), una tipologia che permette di impressionare un fotogramma più grande, donando maggiore definizione alle immagini; utilizza un formato di pellicola, ideale per le riprese in esterna, per un film quasi completamente girato in un interno. Ed è qui la sua magia: lo spettatore può ammirare ogni personaggio, può scegliere quale storia seguire, per chi patteggiare ma, altra splendida novità, qui ne rimarrà deluso.

Sì perché in “The Hateful Eight” non ci sono eroi: sullo sfondo di un’America post Guerra Civile (che non è decisamente tanto diversa da quella odierna), in cui ognuno sta sulla difensiva, bianchi, neri, messicani, uomini, donne, vecchi e giovani sono tutti posti sullo stesso maledettissimo piano; ognuno crede in una “propria giustizia”, nella propria ragione, praticando “giustizia di frontiera”. L’unica figura pura è uno spettatore muto, intagliato nel legno, il primo e più importante personaggio di questo meraviglioso film, un film che merita più di una visione, un film poco acclamato (tre nomination ai Premi Oscar 2016, stiamo a vedere se gliene riconoscono qualcuno) perché meno plateale del precedente, un film politico (la discussione all’inizio dentro la diligenza sui fatti della Guerra di Secessione, un dolce ricordo di un mito del genere western “Ombre rosse”,1939) e sociale, un film che, però,  è prima di tutto e per fortuna Spettacolo perché pensato, scritto e diretto con amore da un uomo che è prima di tutto un grande spettatore.

N.B. Una nota di pregio a uno degli sguardi più dolci che io ricordi nel Cinema, quello tra un capace Channing Tatum e Jennifer Jason Leigh, e ai piccoli e grandi riferimenti che il regista non fa mancare ai suoi appassionati tra cui “baffi” e “caramelle”, lascio a voi la caccia al tesoro degli altri!

4 stelle ½.

Cristina

Fonti: Wikipedia


Dear readers,

as always after a big hit (“Django Unchained”, 2012), Tarantino is back on the big screen catching the viewer by surprise: he thinks he already knows it all, but he knows nothing. And in this kind of movies (“Jackie Brown”, 1997 and “Grindhouse”, 2007), this director always gives the best of himself.

Wyoming, after the American Secession war: with a crisp clear background, a coach quickly proceeds toward the small city of Red Rock. Inside, the bounty hunter John Ruth (a great Kurt Russel) and his prisoner Daisy Domergue (an amazing Jennifer Jason Leigh, how can you forget her in “Dolores Claiborne”? In any case, Kurt Russel help us remembering it in the middle of the movie), waiting to be executed. An unexpected snow blizzard will bring many different characters onto the protagonists' path, starting from the black bounty hunter Maggiore Warren (a rich Samuel L. Jackson) and the upcoming Red Rock's mayor, as well as an ex renegade Southern, Chris Mannix (an amazing Walton Goggins).

Forced by the hostile nature, these five characters – including the coachman O.B. Jackson (James Parks) – stay at Minnie's emporium (Dana Gourrier, do you remember her in Django Unchained”?), waiting for the snow to melt in order to get back on everybody's track. But inside Minnie's marketplace, Minnie and her husband Sweet Dave are not there to welcome the coach's passengers; instead, there are four more unexpected travellers (the executioner Oswaldo Mobray played by a great “Mister Orange”, Tim Roth, the stockman Joe Gage, an always faithful Michael Madsen, the General Sanford Smithers, a terribly unique Bruce Dern and the Mexican Bob played by Demián Bichir, the designated keeper while Minnie is at her mother's). Basically: a snow storm, nine unknown characters, a 10 thousand dollar bounty on Daisy's head, a closed environment and a mistery-worth mood.

Yes, I'm talking about mistery because the amazing Tarantino has not come out with a western, but with an Agatha Christie-esque thriller (after a few minutes into the film, you immediately think about “Ten little niggers”) with a western vibe to it; everything is brought together by Ennio Morricone's simphony, who manages to involve your heart and soul, and well-directed by Tarantino, who is always able to better himself and leave the viewer hanging for the whole film.

“The Hateful Eight” is a theatrical piece, in fact Tarantino has created the movie for a 70mm film (the photography by Robert Richardson has received an Oscar nominee), a type of film who is able to expose a bigger frame, giving much more definition to the images; he basically uses a film that's created for outdoor shooting, for an entirely indoor movie. That's his magic: the viewer can appreciate every character, can choose which storyline to follow or side to take; but in this case, he will be disappointed.

Because in “The Hateful Eight” there are no heroes: in this post Civil War America (that's not so different from the modern one), everybody is put on the same level: whites, blacks, Mexicans, men, women, elders and youngsters; everybody believes in its “own justice”, in its own truth, practicing a so-called “boundary justice”. The only pure element is the viewer, mute, carved out of the wood, the first and foremost character in this amazing movie, which deserves to be watched multiple times. It has not been praised as much as the previous ones (three Oscars nominees, let's see how many it can win) because way less obvious; it's a political movie (the conversation at the beginning about the Secession war, a sweet memory of the western “Stagecoach”, 1939) as well as a social one; but  overall, this movie is pure show, because it has been thought, written and directed with love by someone who is himself a real audience.

N.B. I need to mention one of the sweetest moments I've ever seen in a movie: Channing Tatum and Jennifer Jason Leigh looking at themselves, and all those little connections to the director's previous movies - “moustaches”, “candies” and many more, you need to find them all!

4 stars ½.

Cristina

Sources: Wikipedia

Traduzione a cura di: Giulia Macciò






1 commento:

  1. Avevo intenzione di andarlo a vedere, dopo aver letto la recensione lo farò di sicuro

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