Tarantino torna sul
grande schermo, come sempre gli capita dopo una grande successo commerciale e
di critica (“Django Unchained”,
2012), prendendo in contropiede lo spettatore che crede già di sapere tutto e,
invece, non sa un bel niente; ed è in questi film (“Jackie Brown”, 1997 e “Grindhouse
– A prova di morte”, 2007) che il regista, come sempre, dà il meglio di sé.
Wyoming, post guerra di
secessione americana: su uno sfondo candido una diligenza procede spedita verso
la cittadina Red Rock; al suo
interno troviamo il cacciatore di taglie John
Ruth (un davvero bravo Kurt Russel)
e la sua prigioniera Daisy Domergue
(una fantastica Jennifer Jason Leigh,
come si può dimenticarla ne “L’ultima
eclissi”?, ci pensa comunque il personaggio di Kurt Russel a farcelo
ricordare a circa metà del film), in attesa di essere giustiziata. Una bufera
di neve inaspettata coinvolgerà sul cammino della coppia diversi personaggi, a
partire dal cacciatore di taglie nero Maggiore
Warren (un pregnante Samuel L.
Jackson) e il futuro sceriffo di Red Rock, nonché ex rinnegato sudista, Chris Mannix (uno splendido Walton Goggins).
Costretti dalla natura
avversa, i cinque personaggi, compreso il cocchiere O.B. Jackson (James Parks) sostano all’emporio di Minnie (Dana Gourrier, ve la ricordate in “Django Unchained”?), in attesa che la neve si sciolga e ognuno
possa perseguire il proprio intento. Ma, alla bottega di Minnie, non c’è Minnie
e suo marito Sweet Dave ad
accogliere i passeggeri della diligenza, bensì quattro viaggianti inaspettati
(il boia Oswaldo Mobray interpretato
da un mitico “Mister Orange”, Tim Roth,
il mandriano Joe Gage, un sempre
fedele Michael Madsen, il Generale Sanford Smithers, un
dannatamente unico Bruce Dern e il
messicano Bob interpretato da Demián Bichir,
incaricato di badare all’emporio ne giorni in cui Minnie è in visita dalla
madre). In pratica: una bufera di neve, nove personaggi tra loro quasi
sconosciuti, una taglia da diecimila dollari sulla testa di Daisy, un luogo
chiuso e un clima degno di una grande giallo.
Eh sì, cari lettori, un giallo perché l’insuperabile Tarantino non ci
presenta un western, o meglio, ci presenta un mistero alla Agatha Christie (dopo pochi minuti non si può non pensare al
romanzo dell’autrice “Dieci piccoli
indiani”) su uno scenario western, il tutto orchestrato da una Sinfonia in
quattro tempi del Maestro Morricone
che coinvolge il cuore e intrepida la mente e diretto con maestria da un
regista che non si smentisce ma che lascia lo spettatore in attesa per un bel
po’ di tempo.
“The Hateful Eight” è un opera teatrale divisa in atti (capitoli) e Tarantino pensa il film in pellicola 70mm. (con la fotografia
candidata all’Oscar di Robert Richardson),
una tipologia che permette di impressionare un fotogramma più grande, donando
maggiore definizione alle immagini; utilizza un formato di pellicola,
ideale per le riprese in esterna, per un film quasi completamente girato in un
interno. Ed è qui la sua magia: lo spettatore può ammirare ogni personaggio,
può scegliere quale storia seguire, per chi patteggiare ma, altra splendida
novità, qui ne rimarrà deluso.
Sì perché in “The Hateful Eight” non ci sono eroi: sullo sfondo di
un’America post Guerra Civile (che non è decisamente tanto diversa da quella
odierna), in cui ognuno sta sulla difensiva, bianchi, neri, messicani, uomini,
donne, vecchi e giovani sono tutti posti sullo stesso maledettissimo piano;
ognuno crede in una “propria giustizia”, nella propria ragione, praticando
“giustizia di frontiera”. L’unica figura pura è uno spettatore muto, intagliato
nel legno, il primo e più importante personaggio di questo meraviglioso film,
un film che merita più di una visione, un film poco acclamato (tre nomination
ai Premi Oscar 2016, stiamo a vedere se gliene riconoscono qualcuno) perché
meno plateale del precedente, un film politico (la discussione all’inizio
dentro la diligenza sui fatti della Guerra di Secessione, un dolce ricordo di
un mito del genere western “Ombre rosse”,1939)
e sociale, un film che, però, è prima di
tutto e per fortuna Spettacolo perché pensato, scritto e diretto con amore da
un uomo che è prima di tutto un grande spettatore.
N.B. Una nota di pregio a uno degli sguardi più dolci che io ricordi
nel Cinema, quello tra un capace Channing
Tatum e Jennifer Jason Leigh, e ai piccoli e grandi riferimenti che il
regista non fa mancare ai suoi appassionati tra cui “baffi” e “caramelle”,
lascio a voi la caccia al tesoro degli altri!
4 stelle ½.
Cristina
Fonti: Wikipedia
Dear readers,
as always after a big hit (“Django Unchained”,
2012), Tarantino is back on the big screen catching the viewer by surprise: he
thinks he already knows it all, but he knows nothing. And in this kind of
movies (“Jackie Brown”, 1997 and “Grindhouse”, 2007), this director always
gives the best of himself.
Wyoming, after the American Secession war: with a
crisp clear background, a coach quickly proceeds toward the small city of Red Rock. Inside, the bounty hunter John Ruth (a great Kurt Russel) and his prisoner Daisy
Domergue (an amazing Jennifer Jason
Leigh, how can you forget her in “Dolores
Claiborne”? In any case, Kurt Russel
help us remembering it in the middle of the movie), waiting to be executed. An
unexpected snow blizzard will bring many different characters onto the
protagonists' path, starting from the black bounty hunter Maggiore Warren (a rich Samuel L. Jackson) and the upcoming Red
Rock's mayor, as well as an ex renegade Southern, Chris Mannix (an amazing Walton
Goggins).
Forced by the hostile nature, these five characters –
including the coachman O.B. Jackson
(James Parks) – stay at Minnie's
emporium (Dana Gourrier, do you
remember her in “Django Unchained”?), waiting
for the snow to melt in order to get back on everybody's track. But inside
Minnie's marketplace, Minnie and her husband Sweet Dave are not there to welcome the coach's passengers;
instead, there are four more unexpected travellers (the executioner Oswaldo Mobray played by a great
“Mister Orange”, Tim Roth, the
stockman Joe Gage, an always
faithful Michael Madsen, the General Sanford Smithers, a terribly
unique Bruce Dern and the Mexican Bob played by Demián Bichir, the designated keeper while Minnie is at her mother's).
Basically: a snow storm, nine unknown characters, a 10 thousand dollar bounty
on Daisy's head, a closed environment and a mistery-worth mood.
Yes, I'm talking about mistery because
the amazing Tarantino has not come out with a western, but with an Agatha Christie-esque thriller (after a
few minutes into the film, you immediately think about “Ten little niggers”)
with a western vibe to it; everything is brought together by Ennio Morricone's simphony, who manages
to involve your heart and soul, and well-directed by Tarantino, who is always
able to better himself and leave the viewer hanging for the whole film.
“The Hateful Eight” is a theatrical
piece, in fact Tarantino has created the movie for a 70mm film (the photography by Robert
Richardson has received an Oscar nominee), a type of film who is able to
expose a bigger frame, giving much more definition to the images; he basically
uses a film that's created for outdoor shooting, for an entirely indoor movie.
That's his magic: the viewer can appreciate every character, can choose which
storyline to follow or side to take; but in this case, he will be disappointed.
Because in “The Hateful Eight” there are
no heroes: in this post Civil War America (that's not so different from the
modern one), everybody is put on the same level: whites, blacks, Mexicans, men,
women, elders and youngsters; everybody believes in its “own justice”, in its
own truth, practicing a so-called “boundary justice”. The only pure element is
the viewer, mute, carved out of the wood, the first and foremost character in
this amazing movie, which deserves to be watched multiple times. It has not
been praised as much as the previous ones (three Oscars nominees, let's see how
many it can win) because way less obvious; it's a political movie (the
conversation at the beginning about the Secession war, a sweet memory of the
western “Stagecoach”, 1939) as well as a social one; but overall, this movie is pure show, because it
has been thought, written and directed with love by someone who is himself a
real audience.
N.B. I need to mention one of the
sweetest moments I've ever seen in a movie: Channing Tatum and Jennifer Jason Leigh looking at themselves, and
all those little connections to the director's previous movies - “moustaches”,
“candies” and many more, you need to find them all!
4
stars ½.
Cristina
Sources:
Wikipedia
Traduzione
a cura di: Giulia Macciò
Avevo intenzione di andarlo a vedere, dopo aver letto la recensione lo farò di sicuro
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